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La chiusura dei negozi nelle città: fenomeno nazionale

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Centri commerciali ed e-commerce stanno cambiando le abitudini d’acquisto, anche degli aresini. Crescono soltanto i negozi etnici o quelli gestiti da stranieri. Le soluzioni però ci sarebbero...

 

Le vetrine vuote di Eti Casa al distretto “Mimose”

ARESE –  Il 16 novembre scorso il “Notiziario” raccolse la testimonianza dell’antiquario Livio Braga sul crollo del commercio di vicinato ad Arese. Entrando nei dettagli della propria esperienza con negozi al distretto del commercioGiada” e del centro storico di via Caduti, Braga motivava la morìa delle vetrine con la concomitanza della lunga crisi economica e l’arrivo del grande centro commerciale sull’ex Alfa Romeo, con gli affitti alti degli spazi commerciali, il crollo dei valori immobiliari e il depauperamento del cassetto a fronte di imposte e tasse elevate.

 

Ma, in polemica con le sue dichiarazioni, l’Assogiada, cui partecipano altri commercianti del distretto, uscì successivamente con un comunicato stampa nel quale si smentiva Braga e si affermava la ancora oggi vivacità del Giada.

 

Tralasciando le polemiche, è certo che in Italia il calo dei negozi di prossimità è un bollettino di guerra. Del fenomeno se ne stanno occupando da tempo le associazioni di categoria che cercano di aiutare le botteghe stritolate tra la grande distribuzione e l’e-commerce. Secondo uno studio di Confcommercio negli ultimi dieci anni, l’Italia ha perso 63mila negozi tradizionali  come quelli alimentari e dell’abbigliamento (-10,9%) a fronte dell’aumento di 40mila unità fra alberghi, bar e ristoranti (+13,1%) e del 77,6% del commercio online o porta a porta. Per contro, tra il 2012 e il 2017, le imprese commerciali straniere sono cresciute del 26,2 per cento  in virtù del fatto che gli immigrati si orientano verso i propri negozi etnici, alimentari e non, mentre il mutamento delle abitudini d’acquisto degli italiani verso le grandi catene e l’e-commerce ha determinato il calo delle imprese nazionali del 3,6 per cento.

 

Il fenomeno delle chiusure dei piccoli negozi ha un forte impatto sociale e urbanistico. Ne sono coscienti Confcommercio e Anci (l’associazione dei comuni italiani) che dal 2015 collaborano assieme nel Laboratorio nazionale per la rigenerazione urbana.

L’anno scorso il Laboratorio ha presentato un  primo elaborato dei suoi tavoli tematici riguardanti  cultura, sport e riattivazione degli spazi dismessi. In quest’ultimo caso, fra gli altri, è stato analizzato il caso de “Il Centro” di Arese,  che “localizzato nel 2016 nell’area industriale dismessa Alfa Romeo, rappresenta un caso di ibridazione di formato a scala territoriale: l’inedito mix funzionale tra servizio commerciale, centro guida sicura Aci (nell’ex pista di prova) e il museo Alfa Romeo ha determinato un successo di questa estesa trasformazione insediativa (nel 2017 ha registrato 13 milioni di presenze con una media di 48mila utenti/giorno e un fatturato annuo di euro 600 milioni), che nel 2020 incrementerà la sua attrattività con il primo skidome italiano”.

 

Ma come far fronte alla desertificazione dei centri storici e allo spegnimento delle luci?  A Rovereto, comune e associazioni di categoria hanno concordato per tre anni una fiscalità di vantaggio e locazioni a canone calmierato. Padova ha istituito un fondo che prevede un contributo pari alla tassazione locale (Tari, Cosap e Icp) a favore di coloro che aprono un’attività in negozi sfitti da almeno un anno. Parma sta studiando con i proprietari di immobili degli spazi a canone zero e l’azzeramento delle tasse per il commerciante che rivitalizza la vetrina. Contratti di comodato d’uso gratuito pure a Bassano del Grappa e manutenzione delle vetrine da parte del comune. 

 

Pochi comuni – ha osservato nell’ambito dei lavori Paolo Mora, direttore generale sviluppo economico di Regione  Lombardia – a partire dalla crisi economica si sono accorti che le attività commerciali erano in sofferenza e che la loro assenza lasciava vie e piazze soggette a declino economico, degrado e calo dei valori immobiliari”.

Intanto Federproprietà ha proposto di estendere  la cedolare secca sugli affitti alle attività commerciali. Secondo il presidente Massimo Anderson ciò farebbe riaprire in Italia 200mila esercizi e dare lavoro a 400mila persone”.

 

Per difendere i negozianti  di Arese dall’arrivo del centro commerciale si doveva fin dal 2016 – afferma Livio Braga, le cui ragioni hanno trovato conferma nei dati nazionali – sospendere loro l’Ici, la tassa di occupazione, l’imposta sulla pubblicità e insegne e l’addizionale Irpef. Si doveva dare un contributo tangibile agli affitti e alle spese condominiali ripianando anche le richieste di pignoramento avute a seguito della costruzione de Il Centro a soli 3 chilometri dalla città. Sarebbero  stati provvedimenti concreti, diretti e immediati per i commercianti e per le loro attività. C’erano 4,5 milioni circa di fondi dati dalla proprietà del centro commerciale per compensare i danni al commercio locale. Mentre si attende ancora la riqualificazione dei distretti, la clientela è andata perduta. E comunque collegare le riqualificazioni come contributo ai commercianti è fuorviante perché non ha una concreta ricaduta sulla vita gestionale dei piccoli negozianti”.

Ombretta T. Rinieri    

Articolo pubblicato su “Il Notiziario” del 22 marzo 2019 a pag. 66

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